Scheda malattia

Leucemia Mieloide Acuta

La leucemia mieloide acuta (LMA) è una patologia neoplastica del sistema emopoietico (cellule del midollo osseo da cui derivano le cellule del sangue) a carattere rapidamente progressivo che porta a un’eccessiva proliferazione di specifiche popolazioni di cellule, dette cellule leucemiche o blasti.

Normalmente, nel midollo osseo ha luogo il processo di produzione e maturazione di tutte le cellule del sangue (globuli bianchi, globuli rossi, piastrine) a partire da cellule più immature (precursori).

Le cellule leucemiche si moltiplicano in modo rapido e incontrollato ma, pur derivando dai precursori midollari da cui originano i normali elementi del sangue, non sono in grado di maturare normalmente e di assumere le funzioni di una cellula matura e sana (per esempio le funzioni di difesa immunitaria dei globuli bianchi o di trasporto dell’ossigeno dei globuli rossi). Inoltre, l’eccessiva crescita di queste cellule all’interno del midollo osseo può ostacolare la formazione delle cellule normali invadendo lo spazio a loro destinato.

Quando il processo di trasformazione leucemica riguarda la linea cellulare mieloide (quella da cui originano le sottopopolazioni di globuli bianchi granulociti e monociti, i globuli rossi e le piastrine) ha origine la leucemia mieloide acuta.

EPIDEMIOLOGIA

La LMA del bambino rappresenta circa il 15-20% delle leucemie acute dell’età pediatrica e la seconda leucemia in termini di incidenza dopo la Leucemia Linfoblastica Acuta. In Italia, ogni anno, si ammalano di LMA circa 70-80 bambini di età compresa tra 0 e 18 anni. L’incidenza più elevata si osserva nel primo anno di vita (forme “Infant”), riducendosi e mantenendosi stabile negli anni successivi, con una nuova lieve tendenza all’aumento nella fascia di età 10-14 anni.

EZIOLOGIA

A oggi non vi sono dati solidi che supportino il ruolo di fattori ambientali nello sviluppo della LMA, con l’eccezione dell’esposizione ad alte dosi di radiazioni ionizzanti e chemioterapici impiegati per il trattamento di una neoplasia primitiva.

Le LMA possono dunque essere distinte in forme primarie (che si presentano acutamente in soggetti per i quali non è dimostrabile una pregressa mielodisplasia o una patologia oncologica che abbia richiesto un trattamento con chemio- o radioterapico) e forme secondarie (che rappresentano l’evoluzione neoplastica di una precedente mielodisplasia o che sono correlate all’esposizione ad agenti leucemogeni).

Un’aumentata incidenza di LMA si osserva in alcune condizioni predisponenti genetiche quali la Trisomia 21 costituzionale (sindrome di Down), in cui si osserva un’aumentata incidenza, soprattutto nei primi 4 anni di vita, di LMA (e in particolare di forme megacarioblastiche M7), e alcune insufficienze midollari costituzionali (Anemia di Fanconi, Discheratosi congenita, Sindrome di Kostman, Anemia di Diamond-Blackfan, Trombocitopenia Amegacariocitica Congenita…).

ISTOLOGIA

La LMA include diverse varianti distinguibili per tipo cellulare coinvolto, lesioni molecolari e anomalie citogenetiche che le caratterizzano.

La classificazione delle LMA elaborata dal Gruppo Cooperatore Francese-Americano-Britannico (FAB) nel 1976, basata su criteri morfologici (osservazione al microscopio di strisci di sangue periferico e di midollo osseo) e citochimici (con metodi di reazione colorimetrica per identificare specifiche sostanze all’interno delle cellule), suddivide la LMA nei seguenti sottotipi: M0 (indifferenziata), M1 (mieloblastica senza maturazione), M2 (mieloblastica con maturazione), M3 (promielocitica), M3v (promielocitica variante ipogranulare), M4 (mielomonocitica), M4eo (mielomonocitica con ipereosinofilia), M5a (monoblastica), M5b (monocitica), M6 (eritroleucemia), M7 (megacarioblastica).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto un sistema classificativo delle neoplasie mieloidi, di cui l’ultima revisione è stata pubblicata nel 2016, che, insieme ai dati morfologici e citochimici, integra criteri clinico-anamnestici (pregressa chemio- o radioterapia e/o storia pregressa di mielodisplasia), immunofenotipici (mediante una metodica denominata citofluorimetria che permette di esaminare le caratteristiche delle molecole espresse sulla superficie o all’interno delle cellule leucemiche), citogenetici e molecolari.

La definizione delle caratteristiche biologiche, citogenetiche e molecolari delle LMA è importante non solo per la completa caratterizzazione della malattia ma anche e soprattutto perché permette di identificare gruppi di pazienti con diversa prognosi e si traduce nell’impiego di differenti approcci terapeutici.

QUADRO CLINICO

I sintomi e segni che possono accompagnare l’esordio di una LMA possono essere assai diversi. Alcune manifestazioni sono aspecifiche, come la febbre o febbricola (elemento di sospetto può essere una febbre che si prolunga nel tempo in assenza di un’evidente sede di infezione), la stanchezza e/o un calo di peso non spiegato.

Spesso, a causa della crescita eccessiva delle cellule leucemiche che invadono lo spazio destinato alle cellule normali, il midollo osseo non è più in grado di mantenere la produzione di un numero sufficiente di globuli rossi, piastrine e globuli bianchi normali. La classica presentazione clinica è dunque caratterizzata dai segni e sintomi legati alla carenza delle normali cellule del sangue, cioè stanchezza, pallore, tachicardia (legati all’anemia da riduzione del numero di globuli rossi), da sanguinamenti cutanei e/o mucosi (legati al basso numero di piastrine) e da aumentata suscettibilità alle infezioni (dovute al basso numero di globuli bianchi).

Le cellule leucemiche, caratterizzate da una proliferazione rapida e incontrollata, possono circolare nel sangue periferico e/o infiltrare altri organi/tessuti come fegato, milza, linfonodi (determinando un aumento di volume detto epatomegalia, splenomegalia o linfoadenomegalia, rispettivamente), cute (dando origine a infiltrati cutanei) o gengive (con conseguente ipertrofia gengivale). Le cellule leucemiche possono inoltre invadere il sistema nervoso centrale attraverso la cosiddetta “barriera emato-encefalica”, che ha il compito di proteggere l’encefalo e il midollo spinale.

Forma non frequente è il “Sarcoma mieloide” (precedentemente definito sarcoma granulocitico o cloroma), una proliferazione extramidollare delimitata di cellule leucemiche mieloidi che può interessare qualsiasi organo, più spesso la cute e i tessuti molli (ma anche il tratto gastrointestinale, i linfonodi e l’osso) e che, seppur molto raramente, può rappresentare l’unica sede di malattia.

Più frequentemente rispetto alla leucemia linfoblastica acuta, possono essere osservate, all’esordio di malattia, alterazioni dei parametri coagulativi.

Menzione particolare merita la leucemia acuta promielocitica, un particolare sottotipo di LMA con peculiari caratteristiche cliniche, morfologiche e citogenetiche/molecolari in cui, come conseguenza di una traslocazione tra i cromosomi 15 e 17, si verifica un blocco della maturazione delle cellule leucemiche allo stadio di promielocita. Questo tipo di leucemia può talvolta presentarsi con un esordio drammatico caratterizzato da una coagulopatia severa che costituisce una vera e propria emergenza ematologica, potenzialmente fatale se non prontamente trattata.

Un esordio più subdolo può essere rappresentato da dolori osteo-articolari diffusi e persistenti, talora associati a febbricola che possono mimare il quadro di una patologia reumatologica.

INDAGINI DIAGNOSTICHE

Oltre all’esame obiettivo, sono necessarie analisi del sangue che possono, sebbene non sempre, evidenziare un aumento o una riduzione del numero dei globuli bianchi totali, una riduzione dei neutrofili e/o delle piastrine, una riduzione dei livelli di emoglobina (anemia), un aumento dei livelli di latticodeidrogenasi (LDH) sierica e/o di uricemia (motivati da un accelerato turnover cellulare). L’esame microscopico dello striscio di sangue venoso periferico può in alcuni casi già mostrare la presenza di blasti leucemici.

L’esame diagnostico dirimente è rappresentato dall’agoaspirato midollare che permette di effettuare la valutazione morfologica (col microscopio) e le indagini di caratterizzazione immunofenotipica, citogenetica e molecolare delle cellule leucemiche, oltre che di registrare le caratteristiche specifiche dei blasti che nel tempo consentiranno di monitorare la quota di malattia residua in corso e al termine della terapia.

STRATIFICAZIONE

Il rischio di recidiva di LMA (e quindi la probabilità di guarigione) non è uguale per tutti i pazienti. L’esperienza acquisita nell’ambito delle diverse generazioni di protocolli terapeutici nazionali e internazionali ha permesso di identificare vari fattori correlati alla probabilità di recidiva e quindi di adattare l’intensità del trattamento sulla base di tale rischio. Tra questi fattori vi sono le caratteristiche cliniche (costituiscono criteri di rischio l’età inferiore a 1 anno e la conta dei globuli bianchi >100.000/mmc al momento della diagnosi), biologiche, citogenetiche e molecolari di malattia, oltre che la risposta della leucemia alla terapia (cioè la rapidità della scomparsa delle cellule leucemiche dal midollo osseo). Quest’ultima può essere attualmente valutata con metodiche citofluorimetriche e di biologia molecolare che permettono di dimostrare con alta sensibilità anche quantità molto piccole di cellule leucemiche residue (“Malattia Residua Minima”).

La caratterizzazione di malattia e la valutazione della risposta precoce al trattamento permettono di stratificare i pazienti in diversi gruppi di rischio, ciascuno dei quali riceve un trattamento adattato (cioè più o meno intenso) in base alla propria probabilità di recidiva.

STRATEGIA TERAPEUTICA

Negli ultimi 30 anni, i Centri AIEOP hanno adottato diverse generazioni di protocolli per la diagnosi e la terapia della LMA. In questo modo, grazie alla progressiva ottimizzazione dei criteri di stratificazione del rischio e al miglioramento delle strategie terapeutiche, è stato possibile passare da una probabilità di cura del 30% circa negli anni ’80-’90 a una sopravvivenza libera da malattia a 8 anni superiore al 60%.

Il trattamento nella LMA si basa su protocolli polichemioterapici (che prevedono cioè la combinazione di diversi farmaci chemioterapici somministrati contemporaneamente o in successione) articolati in due fasi: terapia di induzione, che ha lo scopo di ottenere una remissione completa (ovvero la scomparsa della malattia) e terapia post-remissionale (o di consolidamento) che ha lo scopo di consolidare e rendere permanente lo stato di remissione completa della malattia. Questa seconda fase può comprendere, in rapporto alla fascia di rischio, il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (TCSE), per una durata complessiva di trattamento solitamente nell’ordine di circa 6 mesi.

Poiché i chemioterapici somministrati per via endovenosa raggiungono con difficoltà il sistema nervoso centrale, alcuni farmaci sono somministrati per via intratecale, ovvero iniettati direttamente nel liquido cefalo-rachidiano (liquido che scorre intorno all’encefalo e al midollo spinale) mediante puntura effettuata all’altezza della porzione lombare della colonna vertebrale (“puntura lombare” o rachicentesi), al fine di eradicare o prevenire la localizzazione di leucemia nel sistema nervoso centrale.

Un’eccezione a questo programma terapeutico è rappresentata dalla leucemia acuta promielocitica. Questa patologia, un tempo considerata altamente fatale, è oggi ritenuta una delle forme più guaribili di leucemia grazie all’introduzione, dapprima, dell’acido all-trans retinoico (un derivato della vitamina A) in associazione con la chemioterapia, e successivamente all’impiego combinato di acido all-trans retinoico e arsenico triossido. Tali approcci hanno rivoluzionato la storia clinica della malattia permettendo di raggiungere percentuali di sopravvivenza libera da malattia superiori al 95% anche senza ricorrere alla chemioterapia.

Infine, per i bambini con Trisomia 21 costituzionale (Sindrome di Down) affetti da LMA, è previsto un percorso terapeutico differenziato rispetto ai pazienti con lo stesso tipo di leucemia ma non affetti da sindrome di Down. Questi bambini, infatti, rappresentano un sottogruppo di pazienti con caratteristiche peculiari, tra cui: le cellule leucemiche dei soggetti con Trisomia 21 sembrerebbero presentare una maggior “sensibilità” ad alcuni agenti chemioterapici (come la citosinarabinoside); nei bambini con LMA e Sindrome di Down sono state osservate una maggiore suscettibilità alle infezioni e una maggior tossicità associata alla chemioterapia; nei pazienti che presentano anomalie cardiovascolari congenite, l’uso di antracicline (farmaci con potenziale effetto cardiotossico) va considerato un rischio aggiuntivo. Inoltre, in questi bambini, è stata osservata una migliore risposta al trattamento con un minor rischio di recidiva rispetto ai pazienti con lo stesso tipo di leucemia ma non affetti da sindrome di Down.

Pertanto, considerando sia il maggior rischio di tossicità e di complicanze infettive severe associato ai protocolli chemioterapici intensivi sia il minor rischio di recidiva che caratterizza le LMA nei bambini affetti da sindrome di Down, in questi pazienti è considerata appropriata una terapia meno intensa, senza indicazione al TCSE in prima remissione di malattia.

Con gli attuali protocolli di trattamento, la prognosi delle LMA nei bambini affetti da sindrome di Down è generalmente favorevole, con percentuali di guarigione approssimabili all’80% circa.

TRATTAMENTO DELLE RECIDIVE DI LMA

Nonostante i significativi miglioramenti ottenuti nelle ultime decadi nel trattamento della LMA pediatrica, le recidive rappresentano la causa percentualmente più importante di fallimento terapeutico e si verificano con frequenza superiore rispetto a quella che si osserva nelle leucemie linfoblastiche acute. La grande maggioranza delle recidive occorre nei primi due anni dalla diagnosi.

Alcuni fattori influenzano la prognosi delle forme recidivate: in particolare, una maggior durata della prima remissione completa, la presenza di alterazioni citogenetiche/molecolari note come anomalie del core-binding factor (CBF) e una percentuale di blasti inferiore al 20% al termine del primo ciclo di terapia di reinduzione sono associate a maggiore probabilità di sopravvivenza.

Benché in oltre la metà dei pazienti sia possibile ottenere una seconda remissione di malattia con l’impiego di schemi di polichemioterapia, rendere permanente lo stato di remissione della malattia è più difficile.

Se una seconda remissione viene raggiunta, la scelta della terapia post-remissionale va stabilita in rapporto alla strategia terapeutica impiegata nel trattamento di prima linea.

Un approccio che include chemioterapia di consolidamento seguita da TCSE allogenico consente di ottenere le maggiori probabilità di guarigione, non solo per i pazienti che in prima linea hanno ricevuto un trattamento unicamente chemioterapico per una forma a rischio standard ma anche per i pazienti andati incontro a recidiva dopo una terapia di prima linea comprendente la procedura trapiantologica.

 

Nonostante i significativi miglioramenti ottenuti nelle ultime decadi nel trattamento della LMA pediatrica, le recidive rappresentano la causa percentualmente più importante di fallimento terapeutico e si verificano con frequenza superiore rispetto a quella che si osserva nelle leucemie linfoblastiche acute. La grande maggioranza delle recidive occorre nei primi due anni dalla diagnosi.

Alcuni fattori influenzano la prognosi delle forme recidivate: in particolare, una maggior durata della prima remissione completa, la presenza di alterazioni citogenetiche/molecolari note come anomalie del core-binding factor (CBF) e una percentuale di blasti inferiore al 20% al termine del primo ciclo di terapia di reinduzione sono associate a maggiore probabilità di sopravvivenza.

Benché in oltre la metà dei pazienti sia possibile ottenere una seconda remissione di malattia con l’impiego di schemi di polichemioterapia, rendere permanente lo stato di remissione della malattia è più difficile.

Se una seconda remissione viene raggiunta, la scelta della terapia post-remissionale va stabilita in rapporto alla strategia terapeutica impiegata nel trattamento di prima linea.

Un approccio che include chemioterapia di consolidamento seguita da TCSE allogenico consente di ottenere le maggiori probabilità di guarigione, non solo per i pazienti che in prima linea hanno ricevuto un trattamento unicamente chemioterapico per una forma a rischio standard ma anche per i pazienti andati incontro a recidiva dopo una terapia di prima linea comprendente la procedura trapiantologica.