Scheda malattia

Anemia emolitica autoimmune

L’Anemia Emolitica Autoimmune (AEA) è una condizione morbosa rara in età pediatrica, caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi diretti contro antigeni di superficie dei globuli rossi con conseguente riduzione della vita media delle emazie.

Lo stato anemico che si manifesta può essere di entità lieve, media o grave con compromissione delle condizioni generali del bambino.

La prevalenza dell’AEA nei bambini non è ancora ben nota, verosimilmente aumenta con l’incremento dell’età, come per le altre patologie autoimmuni. L’incidenza annuale generale viene stimata essere 1-3 casi/100000 persone.

L’AEA rappresenta la causa principale di emolisi acquisita da causa extraglobulare in età pediatrica oltre ad essere la seconda più frequente citopenia autoimmune.

L’ AEA può essere:

  • primitiva nella quale essa rappresenta l’unico evento clinico
  • secondaria a
    • patologia immune più complessa
    • infezione
    • neoplasia
    • emopatie, specie se trasfusione dipendenti
    • assunzione di farmaci
    • trapianto di cellule staminali emopoietiche
    • post trasfusionale

CLASSIFICAZIONE IMMUNOEMATOLOGICA DELLE AEA

La diagnosi delle Anemie Emolitiche Autoimmuni si basa sulla dimostrazione della natura emolitica dell’anemia e sulla presenza di autoanticorpi adesi agli eritrociti autologhi (test di Coombs diretto, DAT) e/o liberi nel siero (test di Coombs indiretto, IAT), al loro optimum termico e alla capacità di fissare il complemento. In base al DAT possiamo individuare 4 tipi di AEA (vedi tabella).

Una quota di AEA non viene diagnosticata con il DAT comunemente usato (AEA DAT-negative) con una frequenza stimata in circa l’11% delle AEA da IgG. Tali casi possono essere diagnosticati con metodiche più sensibili e tra questi la citofluorimetria, test immunoenzimatici e immunoradiometrici, il “complement fixing antibody consumption test”, il test dopo stimolazione fitogenica in coltura.

QUADRO CLINICO

Il bambino con anemia emolitica autoimmune giunge all’osservazione clinica con un quadro obiettivo e sintomatologico spesso rilevante: l’anemia si accompagna a segni legati all’emolisi in particolare al subittero/ittero e, talvolta, all’emissione di urine scure. Obiettivamente si riscontra splenomegalia in circa un terzo dei pazienti.

Un quadro febbrile comparso nel mese precedente è riscontrabile anamnesticamente nella maggior parte dei bambini con AEA.

Possono essere presenti emorragie cutanee e/o mucose; in questo caso si deve pensare alla piastrinopenia associata (Sindrome di Evans).

CRITERI DIAGNOSTICI

Gli esami di primo livello da richiedere per validare il sospetto diagnostico sono esami volti a confermare l’anemia, l’emolisi e la presenza di autoanticorpi antieritrocitari (emocromo, reticolociti, striscio di sangue periferico, bilirubina totale e frazionata, LDH, aptoglobina, test di Coombs diretto e indiretto). I reticolociti sono tipicamente aumentati, anche se, raramente ci può essere reticolo citopenia. La valutazione morfologica dello striscio di sangue periferico potrà evidenziare anisocitosi delle emazie, caratteristica è la policromasia delle emazie per l’alta presenza di reticolociti e di globuli rossi nucleati che vengono immessi in circolo dal midollo iperattivo. L’esame urine è solitamente negativo tranne che nei casi di emolisi intravascolare in cui, oltre al dato obiettivo di emissione di urine scure, ci sarà riscontro di emoglobinuria.

Nei bambini con AEA l’aspirato midollare non è di solito richiesto ma va eseguito se è necessario escludere malattie neoplastiche, mielodisplasia, insufficienza midollare.

STRATEGIA TERAPEUTICA

La terapia steroidea è la terapia di scelta di un AEA da anticorpi caldi all’esordio. La risposta allo steroide è pari a circa l’80%. Il dosaggio più comunemente usato è di circa 1-2 mg/Kg/die di prednisone. La terapia va continuata, nei casi responsivi, per almeno 4 settimane seguita da una lenta e graduale riduzione del farmaco fino alla sospensione nell’arco di un periodo di circa 6 mesi.

L’utilizzazione di steroidi ad alte dosi (10-30 mg/Kg die di metilprednisolone per 2-3 giorni circa) come terapia iniziale può essere riservata ai casi più gravi di AEA e alle forme complesse come le sindromi di Evans. Terapie aggiuntive allo steroide, nei casi più gravi, possono prevedere l’utilizzazione delle Immunoglobuline endo-vena ad alte dosi, il ricorso alla terapia trasfusionale con tutte le problematiche dell’incompatibilità e dell’iperreattività immunologica del bambino con AEA e, nelle forme più gravi e non responsive, il plasma exchange e terapie immunosoppressive.

Nelle forme in recidiva o refrattarie alla terapia di prima linea trova indicazione la terapia con il rituximab e, nelle forme resistenti al rituximab, secondo le raccomandazioni del Gruppo di Lavoro AIEOP “Patologia del globulo rosso”, la ciclofosfamide e la splenectomia. Utile, per stabilizzare la risposta, il ricorso agli immunosoppressori risparmiatori di steroide come il micofenolato, la ciclosporina e l’azatioprina. In forme particolarmente gravi e resistenti alle linee terapeutiche più convenzionali può trovare indicazione l’alemtuzumab e il trapianto di cellule staminali autologhe e allogeniche.

La terapia dell’AEA da anticorpi freddi, in genere secondarie a causa infettiva, si basa sul controllo della malattia di base. La terapia farmacologica è riservata ai rari casi primitivi e sintomatici: il farmaco capace di dare una risposta nella maggior parte dei pazienti è il rituximab, mentre la risposta agli steroidi è modesta.