Scheda malattia
Deficit rari dei fattori della coagulazione
I deficit congeniti rari della coagulazione (RBDS) rappresentano il 3% al 5% di tutte le carenze ereditarie della coagulazione e, di solito, sono trasmesse con modalità autosomica recessiva. Includono: le carenze quantitative e le alterazioni qualitative del fibrinogeno, il deficit del fattore (F) II, del FV, del FVII, del FX, del FXI, del FXIII ed il deficit combinato del FV e del FVIII (FV + VIII). La distribuzione geografica delle RBDS nel mondo è variabile con una prevalenza che si attesta da 1:2 milioni di abitanti per le carenze del FII e del FXIII ad 1:500.000 abitanti per il FVII. Nonostante la rarità, le RBDS stanno guadagnando una sempre maggiore interesse sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati (anche per l’aumentare dei flussi migratori). A causa della scarsa prevalenza delle RBDS è, tuttora, limitata la conoscenza di molti dati su mutazioni geniche, caratteristiche fenotipiche e test di laboratorio. I trials clinici sinora condotti si riferiscono solo a piccoli case series o singoli case report. Ne consegue che le linee guida basate sull’evidenza scientifica per la diagnosi e la gestione del paziente con RBS non sono appieno condivise derivando dall’esperienza di ogni centro clinico. Sono, tuttavia, attivi diversi registri nazionali ed internazionali dedicati grazie ai quali si spera di colmare col tempo il gap conoscitivo di questi disturbi orfani. Di seguito si elencano le caratteristiche peculiari di alcuni deficit.
Il deficit di FVII è la più comune RBDS con un’ampia variazione nella distribuzione geografica: 1 su 2.000.000 (Giappone, Sudan, Pakistan), 1 su 500.000 (USA, Australia), 1 su 200.000 (Canada, Italia, Iran, Polonia), 1 su 100.000 (UK, Croazia), 1 su 60.000 (Irlanda, Ungheria). In Slovacchia, la prevalenza di persone con livello di FVII <10 IU/dl è 1 su 50 000. La grande variabilità potrebbe essere influenzata da diversi criteri nella classificazione dei pazienti (soglia di livello di FVII dosabile, presenza/assenza di sintomi emorragici). L’emorragia intracranica è un sintomo comune nei pazienti con deficit assoluto di FVII. Tuttavia, la sintomatologia è molto variabile. Comune la menorragia nelle donne ma sono limitati i dati su ginecologia e problematiche ostetriche nelle donne affette da carenza di FVII. Il trattamento delle emorragie consiste nella somministrazione endo-venosa del fattore mancante ogni 6-8 h a causa della breve emivita del FVII. Il plasma fresco congelato ed il concentrato di complesso protrombinico molto utilizzati in passato hanno limitazioni legate al sovraccarico di volume ed al potenziale rischio di trombosi. Altre opzioni sono i concentrati plasma-derivati di FVII ed il concentrato attivato ricombinante di FVII. Un livello di FVII tra le 10-15 UI/dl viene considerato il valore minimo per la sicurezza emostatica.
La carenza assoluta di FXI si associa nell’uomo ad un lieve rischio di sanguinamento tale che gli individui possono essere diagnosticati incidentalmente. Non sembra, infatti, esserci una correlazione netta tra la quantità di fattore circolante e le manifestazioni emorragiche. La carenza di FXI è particolarmente frequente negli ebrei di etnia Ashkenazy, pur riscontrandosi in tutti i gruppi razziali. Il trattamento va ritagliato sulla specifica situazione individuale. Una stretta sorveglianza può essere sufficiente a ridurre i rischi di sanguinamento. Interventi chirurgici di tonsillectomia e/o di chirurgia nasale presentano un elevato rischio. Gli agenti antifibrinolitici sono molto utili, soprattutto nelle menorragie e nelle estrazioni dentarie. Il plasma fresco congelato è efficace ma possono essere richiesti grandi volumi d’infusione; pertanto in caso di chirurgia elettiva, può essere utile infondere plasma anche nel giorno antecedente l’intervento. Sono disponibili anche concentrati plasma derivati di FXI con una emivita tale da richiedere, in caso di trattamento, somministrazioni giornaliere e/o a giorni alterni. L’obiettivo è quello di raggiungere non elevati livelli di FXI, possono, infatti, essere sufficienti concentrazioni plasmatiche di 30-40 UI/dl in pazienti con carenza grave per garantire una buona emostasi. Il concentrato di FXI dovrebbe essere usato con cautela nei pazienti (specie in quelli con pre-esistenti fattori di rischio pro-trombotico) poiché si associa ad un aumentato rischio di patologia trombotica.
I deficit congeniti del fibrinogeno possono essere suddivisi in disordini di tipo I e disordini di tipo II. Il tipo I indica una carenza quantitativa di fibrinogeno (per ipofibrinogenemia si intendono livelli inferiori a 1,5 g/l, mentre l’ afibrinogenaemia è caratterizzata dal deficit assoluto di fibrinogeno). Il tipo II indica, invece, anomalie qualitative (nella disfibrinogenemia è dosabile e normale l’attività antigenica del fibrinogeno, mentre nella ipodisfibrinogenemia i livelli di attività antigenica sono ridotti). L’afibrinogenaemia ha una prevalenza stimata di circa 1:1.000.000 di abitanti lì dove sono frequenti i matrimoni tra consanguinei. I sanguinamenti nell’afibrinogenaemia si manifestano solitamente nel periodo neonatale. L’emorragia intracranica è la principale causa di morte. Sanguinamenti intra-articolari sono meno frequenti al cospetto delle “emofilie” gravi. Sono descritti, non infrequenti, casi di rottura spontanea della milza. Le donne possono sperimentare meno-metrorragia. Aborti nel primo trimestre di gravidanza sono comuni. Paradossalmente sono osservate, anche, complicanze tromboemboliche sia arteriose che venose. Queste complicanze possono verificarsi in presenza di fattori di rischio concomitanti come trombofilia ed uso di terapie estro-progestiniche. Pazienti con ipofibrinogenemia sono generalmente asintomatici quando i livelli di fibrinogeno si aggirano intorno a 1,0 g/l. La maggior parte dei casi di disfibrinogeniemia sono asintomatici; circa il 25% dei pazienti con disfibrinogenemia hanno una storia di sanguinamento ed in circa il 20% è stata osservata una tendenza trombotica.
La carenza congenita di FXIII è una raro disordine ereditato per via autosomica recessiva. Presenta una frequenza di 1: 2-3 milioni di individui. Le manifestazioni cliniche del deficit di FXIII includono emorragie cutanee (57%), ritardata caduta e sanguinamenti dal cordone ombelicale (56%), ematomi muscolari (49%), emorragie post-intervento chirurgico (40%), emorragia cerebrale (34%). A differenza di tutti gli altri deficit congeniti la carenza del FXIII presenta i test coagulativi di primo livello (tempo di protrombina, tempo di tromboplastina parziale attivata) nella norma.
La conoscenza riguardo le RBDS è in espansione, e recenti studi hanno permesso di raggiungere importanti traguardi nella comprensione di queste malattie rare. Tuttavia, diverse lacune persistono e nuovi studi clinici sono necessari per rispondere a domande sull’epidemiologia, il fenotipo emorragico, la quantità minima di concentrato di fattore della coagulazione necessario per prevenire le emorragie e/o per curarle. La cura e la gestione di questi pazienti deve essere concordata e condivisa con i centri di riferimento competenti.
Fonti e bibliografia
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