Scheda malattia
Talassemia trasfusione dipendente (TDT)
La Talassemia Trasfusione Dipendente, termine che comprende anche Talassemia Major o Morbo di Cooley o Anemia Mediterranea, è un’anemia congenita che necessita di trasfusioni regolari e continuative già dai primi mesi di vita per prevenire le complicanze legate al valore basso di emoglobina e di una terapia ferrochelante in grado di eliminare il ferro in eccesso che inevitabilmente si accumula con le trasfusioni e che a livelli elevati è estremamente tossico. Attualmente i pazienti che eseguono un regime trasfusionale regolare, mantenendo un adeguato livello di emoglobina pre-trasfusionale, ed una corretta terapia ferrochelante, con un buon controllo dei livelli di ferro dell’organismo, hanno aspettativa e qualità di vita molto elevate. Al momento unica terapia curativa standardizzata è il trapianto di midollo osseo ma la terapia genica è attualmente in fase di sperimentazione con risultati molto promettenti.
DEFINIZIONE E EPIDEMIOLOGIA
L’emoglobina è una proteina che si trova all’interno dei globuli rossi del sangue ed è deputata al trasporto dell’ossigeno dai polmoni a tutti i tessuti dell’organismo. Con il termine “Talassemia” si definiscono un gruppo molto ampio di anemie dovute a ridotta o assente produzione di emoglobina. In base alla gravità del quadro clinico e alla necessità di supporto trasfusionale continuo le talassemie vengono distinte in: Talassemie Trasfusioni Dipendenti (TDT) e Talassemie Non Trasfusione Dipendenti. Entrambe le forme sono causate dalla presenza di due mutazioni sui geni che codificano per le catene dell’emoglobina, ereditate generalmente da due genitori portatori sani (che hanno solo un gene mutato). Le mutazioni sui geni dell’emoglobina sono molto frequenti nei soggetti provenienti dai paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, in Medio Oriente, in Asia e in India ma, in seguito ai flussi migratori e all’aumento di coppie con etnia mista, attualmente soggetti portatori e affetti da talassemia sono presenti in tutto il mondo.
QUADRO CLINICO E DIAGNOSI
La TDT è caratterizzata da anemia (bassi valori di emoglobina) causata essenzialmente da emolisi, cioè prematura distruzione dei globuli rossi anomali già nel midollo osseo, condizione che si chiama eritropoiesi inefficace e che è la caratteristica fondamentale della TDT. L’eritropoiesi inefficace e l’anemia causano iperattività del midollo eritropoietico (che produce globuli rossi) che, espandendosi in maniera eccessiva, induce deformità ossee, soprattutto a livello del cranio e del volto. La milza, organo deputato alla distruzione dei globuli rossi anomali, va incontro a splenomegalia (aumenta notevolmente le sue dimensioni). L’anemia grave e prolungata determina scarsa crescita e in alcuni casi problemi al cuore, fino allo scompenso cardiaco. I primi sintomi di malattia si sviluppano dai 6 ai 24 mesi e spesso sono aspecifici, con pallore, ittero, riduzione dell’alimentazione e vomito, febbre ed episodi infettivi ricorrenti, riduzione o arresto della crescita. La diagnosi iniziale è possibile con esame emocromocitometrico ed elettroforesi dell’emoglobina che mostrano anemia microcitica (dimensioni ridotte dei globuli rossi) e aumento dell’emoglobina A2 e Fetale. L’analisi genetica sarà in grado di individuare le mutazioni causative di malattia
TERAPIA CONVENZIONALE
Per prevenire tutte le complicanze legate all’anemia e all’eritropoiesi inefficace sono necessarie trasfusioni periodiche di globuli rossi concentrati. L’obiettivo del regime trasfusionale cronico è mantenere un valore di emoglobina tra 9 e 10,5 g/dL, per assicurare una crescita ottimale, sopprimere adeguatamente l’iperattività midollare, evitare le deformità ossee e mantenere una buona attività psicofisica dei pazienti. Valori di emoglobina più alti possono essere richiesti in pazienti con patologia cardiaca o altre complicanze legate all’anemia. Le trasfusioni vengono eseguite mediamente ogni 15-21 giorni ma l’intervallo trasfusionale può variare in base ad eventi contingenti (febbre o infezioni concomitanti, quantità di sangue trasfuso, etc.). L’obiettivo fondamentale è mantenere stabile il valore di emoglobina pre-trasfusionale stabilito per ogni paziente.
Il regime trasfusionale continuativo se da un lato cura le complicanze legate all’anemia, dall’altro determina accumulo di ferro nel fegato, nelle ghiandole endocrine e nel cuore, causando disfunzione di tutti questi organi. Infatti se il ferro è un elemento fondamentale per l’attività di tutte le cellule dell’organismo, quando raggiunge livelli elevati diventa estremamente tossico. Il sovraccarico di ferro è inevitabile in chi riceve trasfusioni regolari, in quanto l’organismo umano non possiede un meccanismo di eliminazione del ferro in eccesso e sono necessari farmaci che agiscono in questo modo. Infatti si stima che ogni unità di sangue trasfusa apporti all’organismo 200 mg di ferro, che è un quantitativo molto più alto del fabbisogno normale. Per prevenire o trattare le complicanze causate dal ferro assunto con le trasfusioni, è necessaria dunque una terapia ferrochelante, cioè farmaci in grado di legare ed eliminare il ferro patologico. Al momento sono disponibili 3 farmaci ferrochelanti: la Deferoxamina, somministrata in infusione sottocutanea continua per almeno 8-12 ore, attraverso un ago sottocutaneo e una piccola pompa infusiva. Il Deferiprone, attualmente disponibile in compresse o sciroppo, che viene assunto per bocca 3 volte al giorno. Il Deferasirox, in Italia disponibile in compresse dispersibili o rivestite, che si assume per bocca una volta al giorno. La terapia ferrochelante è assolutamente necessaria dopo un certo tempo dall’inizio del regime trasfusionale cronico, perché le complicanze da sovraccarico di ferro sono molto gravi e possono essere mortali nei primi 20 anni di vita. La terapia ferrochelante, indipendentemente dal tipo di farmaco utilizzato, va assunta ogni giorno, a meno che non vi sia diversa indicazione medica.
Il sovraccarico di ferro può essere monitorato con diverse tecniche. La ferritina è una proteina di deposito del ferro ed il suo aumento persistente indica livelli patologici di ferro dell’organismo. Diversi dati mostrano che l’obiettivo ottimale è mantenere un livello di ferritina tra 1000 e 500 ng/mL, al fine di prevenire la maggior parte delle complicanze cliniche del sovraccarico di ferro ed evitare gli effetti tossici dei farmaci ferrochelanti. Negli ultimi anni la Risonanza Magnetica epatica e cardiaca si sono rivelate una tecnica fondamentale per il controllo del ferro patologico in questi organi. La concentrazione di ferro nel fegato viene espressa come LIC (liver iron concetration) e l’obiettivo fondamentale è mantenere la LIC sotto i 5 mg di ferro, mentre valori superiori o pari a 15 mg indicano grave sovraccarico di ferro epatico e sono un fattore di rischio per complicanze cliniche rilevanti. Il sovraccarico di ferro cardiaco si misura in millisecondi e l’obiettivo fondamentale è mantenere un valore di T2* cardiaco superiore a 20 millisecondi. Valori più bassi indicano la presenza di sovraccarico di ferro a livello cardiaco e valori inferiori a 10 millisecondi sono stati associati al rischio di eventi cardiaci gravi, come scompenso cardiaco e morte. La terapia ferrochelante assunta ogni giorno, ai giusti dosaggi e nel modo corretto è in grado di prevenire il sovraccarico a livello epatico, cardiaco ed endocrino, ridurre il rischio di complicanze cliniche e permettere una buona qualità di vita dei pazienti.
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO, TERAPIA GENICA E NUOVI APPROCCI TERAPEUTICI
Il trapianto di midollo osseo è considerato al momento l’unico approccio standardizzato per la cura definitiva della TDT. Dai dati disponibili si contano più di 3000 pazienti talassemici trapiantati di midollo osseo nel mondo. Negli ultimi anni, grazie al miglioramento delle tecniche trapiantologiche e dei farmaci chemioterapici utilizzati, la sopravvivenza libera da malattia si raggiunge nell’80- 90% di pazienti talassemici trapiantati. L’epoca migliore per eseguire un trapianto di midollo osseo nella talassemia è nei bambini piccoli, prima dell’insorgenza di complicanze legate al sovraccarico di ferro e quando è disponibile un fratello compatibile. La terapia genica è la nuova frontiera verso la cura definitiva della TDT attualmente in fase di sperimentazione. Questo approccio terapeutico consiste nell’utilizzo di un virus modificato in grado di inserire il gene correttamente funzionante nelle cellule dei pazienti talassemici che invece presentano il gene mutato. Si tratta di un trapianto autologo di cellule staminali del paziente dopo essere state trattate e modificate. I dati al momento disponibili su circa 20 pazienti osservati per oltre 2 anni dimostrano che la terapia genica può ridurre notevolmente o eliminare del tutto la trasfusione dipendenza in pazienti talassemici. Attualmente sono in fase di sperimentazione nuove molecole in grado di migliorare l’eritropiesi inefficace, che è il maggiore problema dei pazienti TDT. Si tratta di farmaci, ancora sperimentali, che si sono dimostrati efficaci nel ridurre la richiesta trasfusionale del 33% nella maggior parte dei pazienti studiati (83%) ed in più della metà dei pazienti (67%) la riduzione della richiesta trasfusionale arrivava o superava il 50%, dimezzando dunque il numero di trasfusioni necessarie al paziente.